Le origini di Marti

La Pieve di Santa Maria a Novella a Marti - Comune di Montopoli Vald'Arno (PISA). Scavando nel sottosuolo di Montopoli in Val d’Arno sono stati rinvenuti materiali che parlano di insediamenti umani molto antichi, del periodo etrusco e romano. In particolare, il materiale etrusco è stato datato al III secolo a.C. e presenta caratteristiche analoghe a ritrovamenti tipici dell’area di Volterra. Anche prima del medioevo e delle prime testimonianze storiche, sul colle di tufo c’era qualcuno.

Gli eventi più importanti che hanno segnato la storia di Marti.

I documenti storici parlano per la prima volta del castello di Montopoli nel 1017. Il Vescovo di Lucca, signore del territorio, lo fece costruire per dare scampo dalla minaccia dei barbari agli abitanti del borgo della pieve di Mosciano, che si trovava in riva al piccolo fiume Chiecina.
Il campanile della PieveIl castello di Montopoli conservò grande importanza strategica per quasi tutta l’epoca medioevale. Restò sotto la giurisdizione del vescovo di Lucca fino al 1162, quando fu assegnato dall’imperatore Federico di Svevia alla fedele Pisa ghibellina.
Lucca, nemica atavica di Pisa, non accettò lo smacco e si alleò con Firenze, astro nascente della politica toscana. Montopoli si trovò quindi al centro di ripetute ed aspre contese tra Pisa e Firenze.
Questa alternanza fra la dominazione Pisana e Fiorentina durò fino al 1349, quando Montopoli si sottomise volontariamente a Firenze, che ne fece sede di un proprio vicariato e di una guarnigione stabile, che si oppose vittoriosamente a nuovi tentativi di conquista, fra cui l’assalto di Castruccio Castracani nel 1328 e la battaglia di San Romano del 1432.
Dopo il 1492 Montopoli è coinvolta nelle alterne vicende della discesa in Italia dei francesi di Carlo VIII, della Repubblica Fiorentina, della restaurazione dei Medici. Il principale filo conduttore per la storia del castello in questo periodo continua ad essere il coinvolgimento nella zuffa mai domata fra Firenze e Pisa, che si traduceva anche in colpi di mano ricorrenti, inferti e ricevuti nel circondario più prossimo.
Un succedersi di carestie e pestilenze turbò gravemente il castello anche nel ‘600, e dobbiamo arrivare alla seconda metà del ‘700, all’avvento dei Lorena nel Granducato di Toscana, per vedere un rifiorire dell’agricoltura, delle industrie e dei commerci. Montopoli affrontò quindi la calata delle truppe di Napoleone, che provocò non piccoli disastri, ma d’altro canto divulgò le nuove idee che avrebbero improntato la storia più recente. Dopo di che Montopoli seguì le sorti del Granducato di Toscana e poi dell’Italia costruita nel Risorgimento.

Personaggi Famosi nati a Marti – Montopoli.

  • Michele Salvini da Montopoli personaggio che rifulse di gloria particolare per meriti civili e per la difesa della libertà, la cui fama è dovuta alla sua partecipazione alla difesa di Firenze assediata dalle truppe di Clemente VII e di quelle imperiali di Carlo V, con il quale il Papa si era alleato per far ritornare i Medici. Il Salvini, al quale era stato dato incarico di difendere Pisa, morì in una battaglia eroica contro le truppe imperiali.
  • Orazio Caccini (1548-†scon.) insigne rappresentante della musica polifonica negli anni di Giovanni da Palestrina e maestro della prestigiosa Cappella romana di Santa Maria Maggiore e della Basilica Liberiana.
  • Dottor Ignazio Donati con la sua paziente opera di ricerca, lasciò a Montopoli il prezioso manoscritto delle “Memorie e documenti per la storia di Montopoli”.
  • Giovanni Battista Caccini (1556-1613) celebre scultore ed architetto al servizio del Granduca Cosimo I de’Medici.
  • Dottor Isidoro Falchi (1838-1914) medico, garibaldino, e archeologo famoso per aver scoperto la città etrusca di Vetulonia. A questo personaggio, che fra l’altro fu Sindaco del Comune, è stata di recente dedicata una Mostra di alcuni reperti scoperti da Falchi a Vetulonia e Populonia e alcuni materiali della collezione privata donata generosamenta al Comune dalla nuora sig.ra Gilberte Falchi troverranno una giusta collocazione nel Museo-Antiquarium in corso di realizzazione.
  • Luigi Falchi (1873- ?) primo medico pilota. A lui si debbono i primi studi sulla medicina aeronautica e per la sicurezza sul volo.Nella campagna di Libia del 1912 il Falchi dette inoltre prova di valente aviatore e di impavido soldato.(Da “La Nazione”10.3.1912).
  • Menotti Pertici (1904-1966) pittore montopolese, riconducibile alla tradizione macchiaiola ove lo introdusse Silvio Bicchi, ha ritratto, in maniera autentica ed impareggiabile, la realtà della sua terra in funzione sempre del vero.

La storia di Marti

L’antica pieve di Santa Maria e San Martino vescovo di Tours era collocata sul Bastione e, secondo il pievano Agostino Monti, era ancora in piedi nel XIV secolo. Il legame, l’avvicendamento che ci fu con la pieve di Santa Maria Novella non è al momento chiaro. Resta il fatto che quest’ultimo venne eretta nel 1332, come narra la preziosa lapide murata a sinistra di chi entra dal portale principale dell’edificio. Dopo le distruzioni apportate dai fiorentini nel 1433, la Pieve non venne officiata peralcuni decenni, finche nel 1470 si cominciò a restaurarla grazie ai denari dei pellegrini che, in grazia in una bolla cardinalizia, potevano lucrarvil’indulgenza. La pieve fu consacrata soltanto il 12 maggio 1596 dal vescovo di Lucca, Alessandro Guidiccioni. L’aspettoattuale dell’edificio è condizionato dall’evidenza degli affreschi delle tribune ,opera di Antonio Domenico Banberini, a lungo attivo con i suoi aiuti nella nostra zona.La concessione del fonte battesimale da parte del vescovo di Lucca data dal1395.La pila si trovava immediatamente a destra dell’ingresso principale.Sulla parete esterna ad ovest è affrescato San GiovanniBattista che versa acqua sul capo di Gesù. La data del lavoro, semileggibile, si trova alla base dello stesso: 1596.Sulle quattro arcate superiori del battistero era dipinto lo stemma del pievano Giovanni Bacchereti, che finanziò ancheil precedente affresco.Il primo altare che si incontra, camminando lungo la parete di ponente, è quello del Carmine, eretto tra il 1661 ed il 1663.La tela che lo sovrasta è opera di Taddeo Naldini, secondo il Monti, mentre Giovanni Baldovinetti in alcune sue memorie afferma l’opera essere di Francesco Masini e portata a termine nel 1685. In questo altare fù fondata la Compagnia del Carmine, autorizzata conbolla datain Roma il 3 dicembre 1663. L’altare seguente è dedicato alla Madonna del Rosario e fù edificato dall’omonima Compagnia (in seguito trasformata in Congregazione) nel 1622. La tela è opera del Bamberini, che la portò a termini nel 1722. L’immagine della Madonna del Rosario in mezzo al quadro veniva un tempo portata in processione durante la ricorrenza con seguito difanciulle recanti candele accese.La tradizione fù sospesa dal vescovo di San Miniato, Andrea Luigi Cattani, cui parve disdicevole un corteo di donne ad una processione.Passati il confessionale e la porta della sagrestia si trova la prima tribuna, affrescata col convito di Erode ed Erodiade, cui lafantesca presenta la testa del Battista. Nella parete nord si ha ancora San Giovanni che annuncia la venuta del Redentore.La piccola porta al di sotto, come la corrispondente nella tribuna orientale, ad una stanza al tempo sede della Compagnia del Corpus Domini e, precedentemente, della Compagnia di San Giovanni.Nella tribuna centrale, dietro l’altare maggiore, è rappresentata l’Assunzione di Maria che sovrasta la cena degli apostoli.Sulla fronte della tribuna è rappresentato un contitolaredella pieve, insieme a San Bartolomeo e San Giacomo Maggiore: San Martino assieme alle virtù teologali.Nella terza tribuna la Cena di Emmaus fa da contrappunto al tragico Convito precedente mentre, nella parete nord, la Resurrezione di Cristo sottolinea il mistero dell’Eucarestia, rappresentata dal ciborio al centro della cappella. Di fronte all’altare maggiore, che risale al 1722, sta il presbiterio che un tempo era delimitato da una balaustra di legno, poi, dal 1871, di marmo. Quest’ultima è stata accantonata in seguito alle disposizioni del Concilio Vaticano II. La porta laterale un tempo più grande, fù ridotta alla misura attuale nel 1755. Si incontra poi l’altare dedicato agli apostoli San Pietro e Giovanni Evangelista, eretto nel 1622 grazie allamunificenza deiBaldovinetti. Lo storpio risanato da San Pietro, rappresentato nella grande tela, risale al 1622.L’altare seguente, del Crocifisso risale al 1673. L’immagine del crocifisso fù donata dalla famiglia Baldovinetti. Il dipinto che racchiude l’immagine è opera di Giuseppe Bacchini, che vi lavorò nel 1821. La configurazione delle due cappelle laterali all’ingresso ripete quella di San Romolo aFirenze. Sotto l’arco orientale dell’orchestra dell’organo è dipinta la Vergine con San Michele e San Frediano vescovo, titolari dell’altare che un tempo si trovava in questa posizione. L’organo è opera di Filippo e Antonio Tronci. Fù installato e dotato di canne tra il 1764 e il 1781.

Alla metà del Settecento la pieve di Santa Maria Novella aveva bisogno di alcuni interventi di manutenzione. Era passato più di un secolo da quando, per opera del pievano Salvini, la chiesa aveva ricevuto l’assetto interno che ancora vediamo, con gli altari laterali simmetricamente disposti, e oltre trent’anni dall’intervento del pievano Panzani, che a proprie spese aveva fatto affrescare la tribuna e il coro da Anton Domenico Bamberini. L’emergenza riguardava soprattutto il tetto e fu colta da Giovanni di Poggio Baldovinetti (1695-1772), che in quegli anni era soprintendente dell’Opera della pieve, cioè amministratore del suo patrimonio fondiario, valutabile in decine di ettari nel piano di Capanne e Casteldelbosco gestiti in affitto da diversi conduttori.
Prima di procedere ad interventi sulle strutture ecclesiastiche era necessario il consenso del governo del Granducato ed in particolare di un dicastero chiamato “Nove Conservatori del Dominio e della Giurisdizione”. Proprio ai “Nove” si rivolse Giovanni (con una lettera la cui copia è conservata presso l’archivio Majnoni-Baldovinetti) dopo aver commissionato una relazione ed alcuni periti ed aver assunto il “parere di altre persone pratiche del paese”. Giovanni chiese che l’Opera potesse spendere 50 scudi del proprio bilancio, approvato dai “Nove” stessi a Firenze, nel “resarcimento” del tetto,
“Ma perché la spesa del medesimo resarcimento ascenderà alla somma di scudi 90 in circa (…) si attenderà da Sua Signoria Illustrissima [Il Soprasindaco dei “Nove”] ne siano dati gli ordini opportuni per avere in pronto gli scudi 40 in circa che possono mancare al compimento del lavoro pur troppo necessario affine di non esporsi ad una rovina, come seguì della quarta parte di esso tetto nell’anno 1720, salvo con grande spavento del popolo, che in molto numero concorre alle sacre funzioni in quella chiesa”
Per sottolineare l’urgenza dei lavori, Giovanni allegò all’istanza due perizie sottoscritte da altrettanti “Maestri” muratori, che verificarono il pessimo stato del legname e i “cavalletti che sono calati” tanto da rendere “necessario scoprire tutto per rimetterlo a linea retta (…) e sarebbe necessario levare ‘e tegoli e mettervi gli embrici per renderlo più sano”.
Più analitica la seconda perizia, cui seguiva un esatto preventivo:
“Si propone di sbassare le mura laterali un mezzo braccio almeno, e più per la parte di fuori che di dentro, ad effetto di dare il giusto declivio al tetto medesimo, fatto a modo di capanna, per dare lo scolo libero alle acque piovane, le quali covano ne i mezzi per essere il legname stato posto basso, e ciò si dice ad oggetto di minorar la spesa, per servirsi del legname che vi è, del quale potrà mancare qualche corrente o travetta, forse infracidita”.
Infine, per rafforzare ancora di più l’urgenza della richiesta, ai “Nove” venne inviata anche una lettera del pievano e dei sacerdoti che officiavano presso la chiesa tra 1757 e 1758.
La pioggia che filtrava dal tetto danneggiava soprattutto gli altari laterali ed i confessionali, anch’essi disposti lungo le pareti e occorreva procedere al “necessario resarcimento acciò possa continuarsi da essi [sacerdoti] come si deve ad ufiziare la chiesa medesima e non si viva con un continuo timore di qualche grave precipizio”.
Seguivano le firme del pievano Iacopo di Gregorio Gorini, Raffaello Del Rosso “primo dei cappellani di detta pieve”, Giovanni di Carlo Dell’Usso, Valentino Caramelli, Giovan Battista Panzani, Francesco Caramelli e Angiolo Maria Barnini. Quindi il pievano era all’epoca affiancato da ben sei cappellani, addetti alle numerose, cappelle, altari e offiziature, tutti benefici dotati di proprie rendite, a testimoniare quanto fosse allora consistente il patrimonio della pieve, capace di
sostenere questo numeroso personale ecclesiastico a cui si aggiunsero anche, per appoggiare la richiesta al governo, due sacerdoti originari del paese ma non residenti come Giuseppe di Giovanni Dell’Usso, vice pievano di San Giovanni Val d’Egola (Corazzano), e Bernardino di Domenico Panzani, cappellano della cura di San Martino a Castelfranco.
I lavori furono autorizzati e condotti a termine, ma Giovanni Baldovinetti proseguì nelle manutenzione rivolgendo l’attenzione all’altar maggiore e alle acquasantiere: racconteremo di queste episodi in un prossimo ricordo.
 
Le Visite Pastorali

Durante l’ultima visita Pastorale del nostro Vescovo, Mons. Fausto Tardelli, nella nostra Unità Pastorale (avvenuta dal 27 aprile al 25 maggio 2008 ) tutti, credo, abbiamo potuto constatare che abbiamo vissuto momenti belli di incontro e ascolto tra persone con il nostro Vescovo e tra laici di diverse parrocchie. Adesso vogliamo ripercorrere alcune tappe nella storia della nostra parrocchia e spulciare tra gli annali per “vedere” più da vicino alcuni fatti inerenti alle precedenti visite pastorali effettuate dai nostri Vescovi precedenti e metterle accanto alle cronache succedutesi in questi giorni .

Fin dall’XI secolo le chiese del territorio di Marti facevano parte del piviere di San Pietro a Musciano, diocesi di Lucca. Agli inizi del Trecento La pieve di Musciano perse progressivamente importanza e le sue funzioni vennero trasferite nella chiesa di Santo Stefano a Montopoli, che nel 1302 ne ereditò il titolo, e nella chiesa di Santa Maria Novella che acquisì il titolo e le funzioni di pieve con giurisdizione sulle chiese dell’antico piviere di Musciano a ovest della Chiecina.
Nel 1332, al momento dell’erezione della pieve di Santa Maria Novella, il territorio di cui venne dotata fu scorporato dunque dal piviere di Musciano. Sarebbero necessarie approfondite ricerche per verificare l’esistenza di un atto notarile della curia lucchese che attesti la data precisa e magari le eventuali pertinenze territoriali della nuova pieve ma anche per avere la certezza che anche prima del 1332 a Marti risiedesse un pievano..
Il pievano Monti nelle memorie manoscritte redatte negli anni Cinquanta dell’Ottocento, affermò che il titolo pievanale apparteneva già prima alla chiesa di San Martino ma per adesso non sono emersi documenti che verificano questa affermazione. Lo stesso Monti scrisse, dopo aver elencato le chiese di cui si aveva memoria comprese nel piviere di Marti: “Queste son le chiese che esistevano anticamente nel Comune di Marti e dentro i confini, prima della pieve di Musciano, poi della pieve di S. Maria e S. Martino e finalmente dell’attuale pieve di S. Maria Novella, ed eran tutte comprese nell’antichissimo piviere di S. Gervasio”
La prima visita pastorale relativa alla pieve di Santa Maria Novella che si rinviene negli archivi della curia lucchese è del 30 aprile 1360. A quell’epoca vi era nella chiesa (oltre all’altar maggiore, si crede) un solo altare dedicato a San Pietro. Le chiese suffraganee risultarono: Santa Maria, Sant’Andrea, San Bartolomeo, San Martino, San Frediano.
La seconda visita di cui si dispone è del 29 giugno 1383. A quest’epoca le chiese secondarie risultano già n pessime condizioni di conservazione ed officiate senza regolarità.
Secondo il catalogo delle chiese lucchesi del 1387 la pieve di Santa Maria Novella ha come chiese suffraganee “Santa Maria de Bruschieto cum eccelsa S. Andree de Montefosso”; “S. Maria a Prato cum ecclesia S. Justi de Marti”; “S. Fridiani de Marti”; “S. Michaelis de Limite”; “S. Martini de Marti cum ecclesia S. Bartholomei de Marti”.
La prima notizia relativa al fonte battesimale risale al 1395, quando venne steso l’atto che dovrebbe corrispondere alla concessione da parte del vescovo di Lucca. In precedenza, secondo le memorie del pievano Monti, il battesimo dei nuovi nati martigiani veniva amministrato a San Gervasio (probabilmente perché la pieve di San Pietro a Musciano, più vicina, era stata soppressa ed annessa alla pieve di San Giovanni di Montopoli).
Nel 1433 la pieve venne devastata e saccheggiata dalle truppe fiorentine perdendo gran parte degli arredi liturgici e rimanendo inofficiata fino al 1470. Da questo periodo i pievani furono prevalentemente di ascendenza fiorentine, mentre in precedenza erano stati perlopiù pisani.
Nei decenni seguenti il beneficio della pieve si arricchì notevolmente, come dimostra una descrizione catastale risalente al 1525.
La pieve venne consacrata dal vescovo Alessandro Guidiccioni iuniore il 12 maggio 1596.
Dopo l’annessione alla nuova curia episcopale di San Miniato, avvenuta nel 1622, la pieve visse alcune decenni di fervidi lavori che la portarono in pratica allo stato attuale, se si eccettuano il nuovo pavimento, il tetto e le decorazioni parietali, lavori eseguiti nei primi anni del secolo XIX.
Chiese suffraganee della pieve di Santa Maria Novella furono San Pietro di Usigliano e San Brunone di Casteldelbosco (quest’ultima probabilmente fino all’erezione della parrocchia alla fine del Settecento).


Roberto Boldrini