Cel. Nel Nome del Padre….
All’inizio di ogni preghiera a scelta:
Invocazione allo Spirito Santo
Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal Cielo un raggio della tua luce. Vieni, padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori. Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo. Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto. O luce beatissima, invadi nell’intimo, il cuore dei tuoi fedeli. Senza la tua forza, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa. Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. Dona ai tuoi fedeli che solo in te confidano i tuoi santi doni. Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna. Amen.
VIENI O SPIRITO CREATORE, visita le nostre menti riempi della tua grazia i cuori che hai creato. O dolce consolatore dono del Padre altissimo acqua viva, fuoco, amore, santo crisma dell’anima. Dito della mano di Dio promesso dal Salvatore irradia i tuoi sette doni, suscita in noi la parola. Sii luce all’intelletto fiamma ardente nel cuore, sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore. Difendici dal nemico, reca in dono la pace, la tua guida invincibile ci preservi dal male. Luce d’eterna sapienza, svelaci il grande mistero di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo amore.Amen.
Alla fine di ogni preghiera :
Padre Nostro e a seguire,
Al termine
Preghiera
Manda, o Padre,
lo Spirito Santo promesso dal tuo Figlio,
perché riveli pienamente ai nostri cuori
il mistero di questo sacrificio,
e ci apra alla conoscenza di tutta la verità.
1° Giorno LO SPIRITO SECONDO L’INSEGNAMENTO DELLE SCRITTURE
San Basilio *
San Basilio il Grande, nato verso il 330 e morto nel 379, fu vescovo di Cesarea in Cappadocia. Monaco austero, pastore di anime attento ai bisogni dei poveri e dei malati e uomo di governo, San Basilio fu ad un tempo oratore, esegeta, moralista, difensore intrepido della fede minacciata dagli intrighi degli Ariani e teologo di notevole valore. Si distingue per la sua energia e per il suo senso dell’equilibrio e della misura.
«Il Trattato sullo Spirito Santo» che appartiene alle sue opere maggiori si propone di difendere l’uguaglianza delle Persone divine e rimane la fonte principale della teologia dello Spirito Santo, di cui l’Oriente cristiano non ha cessato di vivere.
Verso lo Spirito sono rivolti tutti coloro che hanno bisogno di santificazione; lo desiderano ardentemente tutti coloro che vivono secondo la virtù. Dal suo soffio essi vengono ristorati e sostenuti per il conseguimento del loro fine specifico. Lo Spirito, che perfeziona ogni cosa, in se stesso non manca di nulla. Egli non è un vivente bisognoso di essere continuamente rinnovato, ma è il vivente dispensatore di vita. Non cresce per addizioni esterne a lui, ma è compiuto fin dall’eterno; ha il proprio fondamento in se stesso, ed è in ogni luogo.
Sorgente di santificazione, luce intelligibile, egli, mediante la partecipazione di se stesso, dona ad ogni essere ragionevole una certa chiarezza nella scoperta della verità. Inaccessibile per natura, si lascia comprendere per la sua bontà. Lo Spirito riempie ogni cosa con la sua forza, ma si dà in comunione solo a chi ne è degno. Non a tutti in egual misura, ma secondo differenze di intensità, in rapporto alla fede. Semplice nella sua essenza, è molteplice nelle sue potenze. Presente a ciascuno in modo totale, è nello stesso tempo totalmente presente dappertutto. E’ condiviso da molti, senza subirne danno, e si dà a ciascuno in comunione piena: simile allo splendore del sole la cui bellezza è data a chi ne gode come se fosse solo al mondo, mentre nello stesso tempo esso illumina la terra e il mare, ed è assimilato dall’aria. Così anche lo Spirito, presente a chiunque sia in grado di accoglierlo come se fosse solo al mondo, effonde la grazia in misura sufficiente per tutti, rimanendo intatto in se stesso…
Ma il solo modo per avvicinarsi allo Spirito Paraclito è purificarsi dalle brutture che si incrostano sull’anima a causa del male e ritornare alla bellezza originale, e restituire, grazie a una nuova trasparenza, la sua forma primitiva all’immagine regale secondo la quale siamo stati creati. Lo Spirito allora, come il sole che affascina l’occhio purificato, ti mostrerà in sé l’immagine dell’invisibile. Nella contemplazione beata di tale immagine vedrai l’indicibile bellezza dell’Archetipo.
Per questo, lo Spirito fa ascendere i cuori, guida i deboli come per mano, rende perfetti coloro che sono in cammino. Risplendendo agli occhi di chi si purifica da ogni macchia, egli lo rende spirituale, grazie alla comunione con lui. E allo stesso modo in cui i corpi limpidi e diafani, quando vengono colpiti dalla luce, diventano essi stessi luminosi e la riverberano attorno a loro, in un nuovo riflesso, così anche le anime portatrici dello Spirito, e da lui illuminate, diventano esse stesse perfettamente spirituali e diffondono, a loro volta, la grazia agli altri.
* Perì toù agion Pneumatos, IX, 22-23. “Sources Chrétiennes, n. 17, Le Cerf, Parigi 1947, pp. 145-148.
2 ° Giorno LA CHIESA, UNIFICATA DALLO SPIRITO PARLA TUTTE LE LINGUE
San Fulgenzio *
Nato nel 467 e morto nel 532, san Fulgenzio, vescovo di Ruspe (nell’Africa settentrionale), è il migliore teologo della sua epoca. Si ispira costantemente al pensiero agostiniano, come testimonia il bel sermone che stiamo per leggere. Sant’Agostino aveva detto: «Sì, certamente: io parlo il greco, il siriaco, l’ebraico. Sono nel cuore dell’unità di tutte le nazioni» (Serm. sul salmo 147, 19) e altrove: «Ogni lingua è la mia, poiché è parlata da questo corpo di cui io sono un membro» (Trattato su san Giovanni 32, 7).
Dio ha voluto che la presenza dello Spirito Santo fosse testimoniata da questo prodigio: chi lo aveva ricevuto parlava tutte le lingue… Fratelli carissimi, dobbiamo sapere che, grazie allo Spirito Santo, l’amore di Dio èstato effuso nei nostri cuori (Rom. 5,5). E poiché l’amore doveva unificare la Chiesa di Dio in tutto il mondo, il dono di parlare tutte le lingue, che un tempo era dato anche a un solo uomo che avesse ricevuto lo Spirito Santo, ora è dato a tutta la Chiesa, una in se stessa, unificata dallo Spirito. Allora, se qualcuno ‘Ci viene a dire: «Hai ricevuto ‘lo Spirito Santo: perché non parli tutte le lingue?» dobbiamo rispondere: «Ma è appunto quel che sto facendo, dato che appartengo al corpo stesso di Cristo che è la Chiesa, e che par,la tutte le lingue». Che cosa dunque Dio ha voluto significare, con la presenza dello Spirito Santo, se non che la sua Chiesa avrebbe parlato tutte le lingue?
Si è compiuto così quello che il Signore aveva promesso: Nessuno mette… del vino nuovo in otri vecchi…, ma vino nuovo in otri nuovi così che l’uno e gli altri si conservino (Mì. 9, 17). Per questo, sentendo parlare tutte le lingue, alcuni dicevano: Costoro sono pieni di vino (Atti 2,13). Infatti essi erano ormai diventati degli otri nuovi, rinnovati dalla grazia santificante. Pieni del vino nuovo che è lo Spirito Santo parlavano con ardore tutte le lingue, per essere segno, mediante quel miracolo così evidente, della Chiesa, futura, che sarebbe stata cattolica per l’universalità dei popoli e delle lingue…
Fratelli, celebrate allora questa giorno, consapevoli di essere le membra dell’unico corpo di Cristo. E non lo celebrerete invano, se siete ciò che celebrate: strettamente congiunti con quella Chiesa che il Signore ha riempito di Spirito Santo e fatto crescere in tutto il mondo, riconoscendola come sua e facendosi riconoscere da lei; così lo sposo non si separa dalla propria sposa, e nessuno può sostituirgliela con un’altra. A voi infatti che, sparsi nelle diverse nazioni, siete la Chiesa di Cristo, a voi, membra di Cristo, a voi, corpo di Cristo, sposa di Cristo, l’apostolo dice: Sopportatevi a vicenda con amore, sforzandavi di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace (Ef. 4,2-3). Notate: ha comandato di soppartarci a vicenda, e in questo ha fatto consistere la carità fraterna; ha parlato di speranza di unità, e in questa ha indicata il vincolo della pace. Questa è la casa di Dia, fabbricata con pietre vive, dove ama abitare questa incomparabile padre di famiglia, il cui sguardo non deve essere offeso dalla rovina della divisione.
* Sermo VIII, 2-3: PL 65, 743-744.
3° Giorno LO SPIRITO SANTO DÀ L’INTELLIGENZA DELLA FEDE
Guglielmo di Saint-Thierry *
Guglielmo di Saint-Thierry nacque a Liegi verso il 1085 e morì nel 1148. Educato nelle scuole del Nord della Francia, fu allievo di Anselmo contemporaneamente ad Abelardo. Monaco a Reims, diverrà nel 1119abate del monastero benedettino di Saint-Thierry. Da allora si moltiplicano le opere letterarie che lo rivelano teologo e mistico. Amico intimo di San Bernardo, lavorò alla riforma dei monasteri benedettini. Dopo esser passato al monastero di Signy, per vivere sotto l’osservanza cistercense, si dedicò attivamente a mettere in luce e a confutare gli errori teologici di Abelardo. L’opera di Guglielmo è anzitutto quella di uno spirituale, di un direttore d’anime. La sua teologia è legata alla sua contemplazione.
Ascolta, anima fedele: quando alla tua fede si presenteranno misteri profondi per la debole natura, domanda senza paura, non per spirito di contraddizione, ma per obbedire con amore: Come può succedere una tal cosa? (Le. 1, 34). E la tua domanda sia la tua preghiera; sia amore, sia pietà e umile desiderio: non scruti con alterigia la maestà di Dio, ma cerchi la salvezza nei mezzi offerti ci da Dio, nostro salvatore. Ti risponderà l’Angelo del gran consiglio: «Quando verrà il Consolatore che io vi invierò dal Padre, darà testimonianza di me e vi suggerirà tutte le cose: lo Spirito di verità vi insegnerà la verità tutta intera» (cfr. Gv. 15, 26; 14, 26; 16, 13). Nessuno infatti conosce i segreti dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui. Così nessuno conosce i segreti di Dio, se non lo Spirito di Dio (I Cor. 2, 11). Sii dunque sollecito nell’unirti allo Spirito Santo. Egli viene appena è invocato e lo si può invocare solo perché è già presente. Quando lo si invoca, viene nell’abbondanza delle benedizioni di Dio. E’ lui il fiume impetuoso che dà gioia alla città di Dio (cfr. sl. 45, 5) e quando viene, se ti trova umile e tranquillo, seppur tremante davanti alla parola di Dio, si riposerà su di te e ti rivelerà ciò che il Padre nasconde ai sapienti e ai prudenti di questo mondo. Cominceranno a risplendere per te quelle cose che la Sapienza poté rivelare in terra ai discepoli, ma che essi non poterono sostenere fino alla venuta dello Spirito di verità, che avrebbe insegnato loro la verità tutta intera.
Invano si attende di ricevere e d’imparare dalla bocca di un qualsiasi uomo, ciò che non si può ricevere e imparare dalla lingua stessa della Verità. Infatti, come dice la Verità stessa: Dio è Spirito (Gv. 4, 24). Come è necessario che i suoi adoratori l’adorino in Spirito e verità, così quelli che desiderano conoscerlo e sperimentarlo, solo nello Spirito Santo devono cercare l’intelligenza della fede e il senso puro e semplice di quella verità. Nelle tenebre e nella ignoranza di questa vita, egli è – per i poveri di spirito la luce illuminante, la carità che attira, la dolcezza più benefica, l’accesso dell’uomo a Dio, l’amore amante, la devozione, la pietà. E’ lui che rivela ai credenti che progrediscono nella fede, la giustizia di Dio. E’ lui che dà grazia su grazia. E’ lui che – dalla fede che nasce dall’ascolto della Parola – dona una fede più illuminata.
* Speculum Fidei – Bibliothèque de spiritualité Médiévale. Bruges 1946, pp. 124-128.
4 ° Giorno IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI
Diadoco di Foticea *
Vescovo di Foticea, nell’antico Epiro, regione della Grecia, Diadoco (V secolo), si dimostrò risoluto avversario del monofisismo. I suoi cento capitoli sulla -conoscenza o sulla perfezione spirituale sono indirizzati a una comunità monastica di cui Diadoco era padre spirituale. Il discernimento degli spiriti è un tema centrale della spiritualità dei primi secoli. Anche sant’Atanasio e Cassiano ce ne danno le regole, divenute ormai tradizionali. Questo senso spirituale è sempre considerato come un dono dello Spirito.
La luce della vera conoscenza consiste nel discernere senza errore il bene dal male: allora la via della giustizia, che conduce lo spirito a Dio, sole di giustizia, lo introduce anche nella illuminazione infinita della conoscenza, perché ormai esso .si è posto arditamente alla ricerca della carità…
E’ necessario che quelli che combattono si mantengano sempre con la mente al di sopra del fluttuare delle passioni; così lo spirito potrà discernere i pensieri che l’attraversano e affiderà quelli che sono buoni e vengono da Dio alla custodia della memoria, mentre rigetterà da questo deposito naturale i pensieri cattivi e diabolici. Infatti quando il mare è tranquillo, i pescatori possono penetrare con lo sguardo fino al fondo, tanto che non sfugge loro quasi nessun movimento degli esseri che lo popolano; ma quando è sconvolto dai venti, nasconde conia sua tempestosa agitazione quello che lascia ampiamente scorgere nella tranquillità della calma. E’ evidente, allora, quanto sia inutile la fatica di coloro che si danno da fare con le arti della pesca…
Solo lo Spirito Santo può purificare lo spirito, perché se lui, il potente, non entra a strappare al ladro la sua preda (cfr. Lc. 11, 22) nessuno gliela potrà più togliere. Dobbiamo dunque cercare in tutte le cose, mediante la pace dell’anima, di offrire ospitalità allo Spirito Santo, per avere in noi sempre vivida la luce della conoscenza. Infatti se essa splende ininterrottamente nell’intimo dello spirto, le suggestioni maligne e tenebrose dei demoni non solo si fanno evidenti, ma perdono gran parte della loro forza, messe così allo scoperto da questa luce santa e gloriosa. Per questo “apostolo dice: Non spegnete lo Spirito (I Tess. 5, 19), cioè: non rattristate lo Spirito Santo con le vostre cattive azioni e i vostri cattivi pensieri, perché egli non vi privi dell’aiuto del suo splendore. Non che la luce eterna e vivificante dello Spirito Santo si possa spegnere: ma la sua tristezza, cioè il suo allontanamento, lascia lo spirito avvolto nella più densa oscurità, privandolo della luce della conoscenza…
Il senso spirituale è il gusto sicuro con cui si è capaci di discernere le diverse realtà. Come infatti il senso corporale del gusto, quando stiamo bene, ci fa distinguere senza errore le cose buone dalle cattive, e ci fa desiderare quello che è gradevole, così il nostro spirito, quando comincia a muoversi nel pieno delle sue forze e in assoluta libertà dalle preoccupazioni, può gustare pienamente la consolazione divina, senza mai essere sedotto da ciò che le si oppone… E, attraverso l’azione della carità, conserva di questo gusto una memoria indefettibile, così da saper discernere il meglio secondo quello che dice l’apostolo: Questa è la mia preghiera: che la vostra carità cresca sempre di più nella conoscenza e nella finezza del senso, perché sappiate discernere il meglio (Fil. 1,9-10).
* Capita centum de perfectione spirituali, 6,26,28,30: P.G. 65, 1169 B, 1175 A. C-D, 1176 B-C.
5° Giorno IL TEMPO DELLA CHIESA È IL TEMPO DELLO SPIRITO
Stanislas Dockx *
Teologo domenicano nato ad Anversa nel 1901, Stanislas Dockx opera per la promozione di un’autentica scienza religiosa di elevato valore intellettuale. E’ fondatore di due Accademie internazionali. Ansioso di collocare l’antropologia al posto che le compete nello studio del mistero del Cristo totale, accentra nondimeno la sua attenzione sull’opera dello Spirito Santo che anima e trasforma la Chiesa.
E’ attraverso l’incarnazione del Verbo e, soprattutto, la sua morte in croce, che la grazia di Dio si è manifestata col portare la salvezza a tutti gli uomini (Tit. 2, 17), attendendo nella speranza la gloriosa manifestazione del grande Iddio e Salvatore nostro Gesù Cristo (Tit. 2, 13). Noi non godiamo quaggiù, nel nostro corpo mortale, che della prima manifestazione, quella di Dio Salvatore nella sua natura di uomo, il quale, essendosi spogliato della sua natura divina, ha preso quella di schiavo (Fil. 2, 7). AI contrario, noi dobbiamo spogliarci, mediante la morte liberamente accettata, dalla nostra natura di uomini mortali, per rivestirci di un corpo spirituale ed immortale che ci permetterà di vedere il Signore nel suo avvento glorioso. Per tutto il tempo in cui noi peregriniamo verso Dio in questo corpo mortale, noi conosciamo il Figlio incarnato unicamente nella sua condizione umana; ma il giorno in cui avremo deposto il corpo mortale, noi lo conosceremo nel modo stesso con cui siamo da lui conosciuti (cf. 1 Cor. 13, 12).
Fra l’epifania del Verbo nella sua natura di servo di Yahvé e l’epifania nel suo stato di gloria, vi è il tempo della Chiesa, epifania dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è in ciascuno di noi, presi individualmente, per la carità che ci anima, carità mediante la quale noi raggiungeremo Dio nel suo stesso essere. Ma la carità soprannaturale, per tutto il tempo in cui rimane individuale, resta invisibile al prossimo: essa si manifesta agli occhi di tutti esclusivamente mediante la carità fraterna esercitata in comunione. Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni verso gli altri (Gv. 13, 35). Nessuno ha mai contemplato Iddio; se ci amiamo l’un l’altro, Iddio abita in noi, ed il suo amore in noi è perfetto. Da questo conosciamo che noi siamo in lui e Dio è in noi, perché egli ci ha dato del suo Spirito (1 Gv. 4, 12-13). Così la pratica dell’amore fraterno, segno del nostro essere discepoli di Cristo e che ci costituisce comunità vivente, rende lo Spirito di Dio visibile al mondo. Il tempo della Chiesa, comunità edificata sull’amore, è il tempo dello Spirito. La Chiesa, corpo di Cristo, è l’epifania dello Spirito d’amore, come l’umanità assunta da Cristo nella sua incarnazione è l’epifania del Verbo di Dio. Lo Spirito di verità non si manifesta che nella Chiesa, assemblea di coloro che amano Dio e gli uomini in un solo e medesimo Spirito di Dio…
I cristiani sono molti, ma lo Spirito Santo, nel quale tutti si ritrovano, li rende uno, come il Padre ed il Figlio sono uno nell’unico Spirito d’amore: …affinché siano una sola cosa, come noi siamo una cosa sola, io in essie tu in me; affinché sian perfetti nell’unità, ed il mondo conosca che tu mi hai mandato, e li hai amati, come hai amato me (Gv. 17, 22-23). Così l’unità dei cristiani tra di loro attraverso lo Spirito Santo è fondata su questa unità permanente che lo Spirito Santo realizza tra il Padre e il Figlio in seno alla Trinità. La Chiesa, in cui tale amore diviene manifesto, risulta in tal modo veramente l’epifania dello Spirito Santo, terza persona della Trinità, che realizza nella sua persona l’unità interpersonale del Padre e del Figlio nell’unità trascendente della divinità. La Chiesa, in quanto epifania dello Spirito Santo, di questo Spirito che si manifesta nell’unità trascendente che opera tra coloro che si amano in lui, appartiene già al tempo ultimo ed eterno, perché le istituzioni scompariranno, !’insegnamento lascerà il posto alla contemplazione, la speranza diventerà possesso, solo la carità non viene mai meno (1 Coro 13, 8).
* L’Ésprit Saint et l’Église, Fayard, Parigi 1969 – pp. 243-245.
6° Giorno LA CHIESA, EPIFANIA DELLO SPIRITO SANTO
Stanislas Dockx *
Teologo domenicano nato ad Anversa nel 1901, Stanislas Dockx opera per la promozione di un’autentica scienza religiosa di elevato valore intellettuale. E’ fondatore di due Accademie internazionali. Ansioso di collocare l’antropologia al posto che le compete nello studio del mistero del Cristo totale, accentra nondimeno la sua attenzione sull’opera dello Spirito Santo che anima e trasforma la Chiesa.
(Seguito del brano riportato nella scheda H 5)
Quando San Giovanni vede la nuova Gerusalemme scendere dal cielo, da presso Dio, pronta come una sposa, abbigliata per il suo sposo (Apoc. 21, 2), non si tratta soltanto della città celeste che s’insedia nel giorno della parusia. La nuova Gerusalemme è già la Chiesa di Dio quaggiù, sulla terra. Difatti, Giovanni conclude la descrizione della sua visione con le parole: Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni! (Apoc. 22, 17). «Marana-tha!» Vieni, Signore! Ecco la ben nota acclamazione liturgica della Chiesa primitiva. Non è solo la Chiesa che si rivolge al suo Signore, ma lo Spirito e la Sposa. Per il fatto che lo Spirito è presente nella Chiesa, quest’ultima trascende il tempo. Per lo Spirito non esistono né ieri, né oggi, né domani. Il tempo ha interrotto il suo volo. E’ oggi che la città santa, la sposa novella, abbigliata per il suo sposo, dice: «Vieni, Signore!» La liturgia celeste descritta da Giovanni è ormai la liturgia ecclesiale, la liturgia della santa assemblea riunita attorno al suo Signore crocifisso, realmente presente nella sua Eucaristia. L’Eucaristia è la parusia del Signore in mezzo alla sua Chiesa: Non vi lascerò orfani; tornerò a voi (Gv. 14, 18). Non è soltanto la Sposa che dice: Vieni, Signore! «Maranatha!»; sono lo Spirito e la Sposa. Ed è perché lo Spirito, presente realmente nella Chiesa, è una persona divina, che alla sua preghiera il Signore della gloria si rende presente tale e quale era sulla croce, nascosto al nostro sguardo soltanto dal velo della fede: Beati coloro che non hanno visto e hanno creduto (Gv. 20, 29). Ciò che noi vediamo sono gli elementi terreni, mentre oggetto della nostra fede è che egli non ci ha lasciati orfani, ma viene a noi ogni volta che lo Spirito e la Sposa lo chiedono. Tutta l’Apocalisse si basa su questo continuo rapporto del terreno col celeste. Tutta la liturgia celeste che ha come centro l’Agnello. fa sentire il suo eco nella Chiesa riunita attorno all’Eucaristia, la quale non è nient’altro che l’Agnello immolato presente in mezzo a noi. Ecco la ragione per cui Giovanni dice: Tutte le creature che sono in cielo e sopra la terra e sotto la terra e sul mare, quante ve ne sono, le sentii tutte che dicevano: «A Dio che è assiso sul trono ed all’Agnello sia lode, onore, gloria e potenza nei secoli dei secoli» (Apoc. 5, 13).
Così lo Spirito, con la sua preghiera, ottiene la venuta del Figlio in questa parusia ecclesiale che è l’Eucaristia, Si comprende benissimo perciò come la Chiesa si rivolga allo Spirito, nella preghiera che viene chiamata epiclesi, in quanto questi realizza, mediante la sua efficace intercessione presso il Figlio, la reale venuta di quest’ultimo nell’Eucaristia.
Così non è soltanto la Chiesa, unificata dalla carità, che manifesta la presenza dello Spirito Santo, principio ultimo dell’unità della Chiesa nella sua Persona; ma è la Chiesa nella sua vita di preghiera in comune, cioé nella sua liturgia, che manifesta l’essere di colui che il Figlio ci ha inviato da presso il Padre.
* L’Ésprit Saint et l’Église, Fayard, Parigi 1969 – pp. 243-245.
7° Giorno IL DONO DELLO SPIRITO SANTO
Sant’Ireneo *
Sant’Ireneo di Lione (seconda metà del II secolo), originario dell’Asia Minore, è il primo grande teologo dell’età patristica. Il suo pensiero, d’ispirazione profondamente biblica, è nello stesso tempo semplice, vigoroso e profondo. Opposto al dualismo gnostico, tale pensiero si sintetizza in una visione d’unità: la ricapitolazione universale nel Cristo.
Nel brano che presentiamo, sant’Ireneo descrive con efficacia l’azione dello Spirito Santo, che ci «adatta» a Dio.
Gli apostoli hanno attestato che lo Spirito di Dio scese su Cristo, come una colomba. E’ lo Spirito di cui Isaia ha parlato in questi termini: Sopra di lui riposerà lo Spirito di Dio (Is. 11, 2); e ancora: Lo Spirito del Signore è su di me, perché egli mi ha unto (Is. 61, 1). E’ lo Spirito di cui il Signore ha detto: Non siete infatti voi che parlate, ma lo Spirito del Padre vostro che parla in voi (Mt. 10,20). E così anche, dando ai suoi discepoli il potere di far rinascere gli uomini in Dio, diceva loro: Andate e insegnate a tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Mt. 28, 19). E’ infatti questo lo Spirito che per mezzo dei profeti aveva promesso di effondere negli ultimi tempi perfino sui servi e sulle schiave, per dar loro il dono della profezia (cfr. Gioe. 2,28-29). Ecco perché lo stesso Spirito è sceso anche sul Figlio di Dio, diventato Figlio dell’uomo: si abituava con lui ad abitare nel genere umano, a «riposare» tra gli uomini, a vivere nell’opera plasmata da Dio; realizzava in essi la volontà del Padre, li rinnovava facendoli passare dalla loro antica condizione di peccato alla novità di Cristo.
E’ questo lo Spirito ‘che Davide aveva ,chiesto per il genere umano, dicendo: Rendimi forte col tuo Spirito che tutto guida (Sal. 50,14). Luca ci dice ancora che, dopo l’Ascensione del Signore, esso scese sui discepoli a Pentecoste: lo Spirito infatti ha potere su tutte le nazioni per introdurle nella vita e aprire loro il testamento nuovo. Per questo, nell’armonia di tutte le lingue, essi cantavano a Dio un inno, mentre lo Spirito riconduceva all’unità le tribù separate e offriva al Padre le primizie di tutte le nazioni.
Questa è dunque la ragione per cui anche il Signore ha promesso di inviare il Paraclito: per «adattarci» a Dio. Infatti, come senz’acqua la farina non può diventare una sola pasta, un solo pane, così noi, che eravamo una moltitudine, non potevamo diventare uno nel Cristo Gesù senza l’Acqua che viene dal cielo. E come la terra arida, se non riceve acqua, non può fruttificare, così noi, che prima eravamo soltanto legno secco (cfr. Lc. 23,31), non avremmo mai portato frutti di vita senza la pioggia che ci è stata data liberamente dall’alto (cfr. Sal. 67,10). L’unità che li rende incorruttibili, i nostri corpi infatti l’hanno ricevuta col bagno del Battesimo, mentre alle nostre anime è stata data in virtù dello Spirito. Per questo sono necessari l’uno e l’altra, per,ché l’uno e l’altra ci danno la vita di Dio.
Nostro Signore ha avuto compassione della Samaritana peccatrice, che non era rimasta unita a un solo uomo ma aveva peccato moltiplicando i mariti; le ha mostrato, le ha promesso un’acqua viva, perché ella non abbia più sete e non si preoccupi più di attingere faticosamente la sua acqua. Ormai, la donna avrà in sé un’acqua zampillante per la vita eterna (cfr. Gv. 4,14): il dono che il Signore ha ricevuto dal Padre e che ha dato a sua volta a quelli che partecipano di lui, inviando lo Spirito Santo su tutta la terra.
* Adversus haereses, III, 17, 1-2 – Sources chrétiennes», 34, Le Cerf, Parigi 1952 – pp. 302-306.
8 ° Giorno SONO VENUTO A PORTARE IL FUOCO SULLA TERRA
San Roberto Bellarmino *
San Roberto Bellarmino (1542-1621), fu tra i più illustri teologi della Controriforma. Le «Contoversiae» – sua opera fondamentale raccolgono in una vigorosa sintesi gli argomenti opposti dai teologi cattolici ai punti di vista dei Riformatori. Membro della Compagnia di Gesù, ebbe incarichi importanti nella Congregazione. Nel 1599 fu eletto cardinale da Papa Clemente VIII, e in seguito nominato arcivescovo di Capua. Direttore di anime – fu padre spirituale di san Luigi Gonzaga – si distinse per il suo zelo e la sua grandissima virtù.
Permeato dal senso della figliolanza divina, il santo – grazie alla sua profonda vita di preghiera e al suo spirito di concretezza e di serenità – seppe incarnare quella che possiamo chiamare la «mistica del servizio di Dio», in mezzo alle dispute teologiche del suo tempo. Fu canonizzato nel 1930 e proclamato dottore della Chiesa l’anno seguente.
Qual’è la ragione per cui gli uomini che non ardono di amore per Dio hanno il cuore così pesante da meritare il rimprovero del profeta: Fino a quando sarete duri di cuore? Perché amate cose vane e cercate la menzogna? (Sal. 4,3). Il motivo è questo: Il corpo corruttibile appesantisce /’ anima (Sap. 9, 15); un pesante giogo grava sui figli di Adamo, dal giorno in cui escono dal seno materno fino al giorno del foro ritorno alla madre di tutti i viventi (Eccli. 40,1). Lo stesso autore ci spiega subito qual’è questo giogo che pesa sull’anima quando essa si trova nel corpo mortale, e parla di furore, invidia, inquietudine, timore, ira e di altri atteggiamenti che si chiamano abitualmente passioni dell’anima. Esse pesano sull’uomo, rendendolo incapace di elevare lo sguardo al di sopra della terra dove egli giace prostrato, quasi incorporato ad essa; e così non può innalzarsi a cercare Dio, non può correre senza ostacoli per la via dei suoi comandamenti.
Ma quando il fuoco divino, venendo dall’alto, comincia a infiammare il cuore dell’uomo, le passioni subito diminuiscono e perdono la loro forza; il peso, da grave che era, si fa più lieve; e nella misura in cui cresce l’ardore, non è difficile che il cuore umano si senta così leggero da prendere ali come di colomba (cfr. Sal. 54, 7), e da ripetere con l’apostolo: La nostra città si trova nei cieli (Fil. 3, 20) e con il profeta, dilatato dall’amore del fuoco divino: Corro la via dei tuoi comandi, poiché tu allarghi il mio cuore (Sal. 118, 32). E certamente da quando il Salvatore ha detto: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso! (Lc. 12,49), abbiamo visto molte persone rese così leggere da spogliarsi da ogni attaccamento agli onori, ai piaceri, alle ricchezze, e poter dire a Cristo che sale al cielo: Portaci dietro a te (Cant. 1,3). Di qui tanti monasteri eretti, tanti deserti divenuti luoghi di abitazione, di qui tutta una folla di vergini che trovarono facile non solo correre per la via dei comandamenti, ma anche salire per il sentiero dei consigli, per seguire l’Agnello dovunque egli va (Apoc. 14,4).
O fuoco beato che non consumi ma illumini; e se consumi, distruggi le ‘cattive disposizioni perché la vita non si spenga! Chi mi darà di essere avvolto da questo fuoco? Un fuoco che mi purifichi, togliendo dal mio spirito, con la luce della vera sapienza, il buio dell’ignoranza, l’oscurità di una coscienza erronea; che trasformi in amore ardente il freddo della pigrizia, dell’egoismo e della negligenza. Un fuoco che non permetta al mio cuore di indurirsi, ma col suo calore lo renda sempre malleabile e obbediente e devoto; che mi liberi dal giogo pesante delle preoccupazioni terrene e dei desideri terreni, e, sulle ali della santa contemplazione che nutre e aumenta la carità, porti il mio cuore tanto in alto da farmi ripetere col profeta: Rallegra l’anima del tuo servo: o Signore, innalzo a te l’anima mia (Sal. 85, 4).
* De Ascensione mentis in Deum, in Roberti Cardinalis Bellarmini Opera Omnia, VI, Napoli 1862 – pp. 232.
9 ° Giorno LA CHIAMATA DEL SIGNORE E L’INVIO IN MISSIONE
Jacques Loew *
Convertito a 25 anni, scaricatore di porto e parroco, l’autore del «Diario di una missione operaia 1941-1959» conosce per esperienza le prove che attendono l’apostolo nel corso del suo servizio. Qui egli le illumina con la più pura luce evangelica, pur lasciando intravedere, nella chiamata di Mosè e nella sua missione, le «abitudini» che ha Dio con i suoi inviati.
Raramente la prima risposta al richiamo di Dio è difficile. La difficoltà viene più tardi, quando gli errori, le stanchezze, le sconfitte e l’usura hanno invaso l’anima dell’apostolo. Si era partiti in picchiata: «Vi farò vedere io come si fa. Loro, i vecchi, non ci hanno capito nulla»; ma un giorno, come il profeta Elia, ci si sorprende a mormorare: Ora basta, Signore, prendi la mia vita perché io non sono migliore dei miei padri (I Re 19, 4)…
Avviene all’apostolo come al profeta: la sua vera risposta, il suo vero impegno giungono soltanto in un secondo tempo. Invece di essere una contro-indicazione, la prova della scoperta cocente della propria incapacità fondamentale, costituisce il vero punto di partenza: prima non era che un galoppo di prova, il cui aspetto brillante ne nascondeva la fragilità. Dio ha il suo metodo; raramente cambia. Mosé, di fronte all’Egiziano che copriva di colpi un Ebreo, un suo fratello (Es. 2, 11), sceglie la parte di difensore della sua razza e passa all’azione con la veemenza spontanea che sappiamo. Ma se effettivamente Dio lo vuole in questo servizio, questo non è ancora il momento, né sicuramente questo è il modo: gli saranno necessarie numerose decine di anni di attesa, di purificazione nel deserto. E quando Dio, che l’aveva «chiamato» fin dall’inizio, lo «invierà», conosciamo lo spavento dell’uomo e il dialogo straordinario in cui Mosè lotterà per essere liberato da tale peso apostolico: Chi sono io per presentarmi al Faraone? – Io sarò con te… – Va bene, ma se chiedono qual’è il tuo nome? – Tu dirai: Il Signore, il Dio dei vostri Padri, mi ha inviato a voi… – E se rifiutano di credermi e mi dicono: Il Signore non ti è apparso… Il Signore allora compie due prodigi straordinari,ma Mosè continua a rifiutare: Scusami, Signore, la mia bocca è inabile e la mia lingua pesante. – Chi ha dotato l’uomo di una bocca? Chi rende muto, sordo, veggente o cieco: non sono forse io, il Signore? Vai dunque immediatamente: io ti aiuterò a parlare e ti suggerirò ciò che dovrai dire. – Scusami, Signore, incarica chi vorrai di questa missione (Es. c. 3 e 4.
Per gli apostoli è di capitale importanza cogliere la necessità di tale purificazione: Dio accende in noi una fiamma, ma prima bisogna che essa consumi la nostra parte più umana, le nostre attrattive, la nostra natura, le nostre inclinazioni. Non certo perché la nostra natura e l’inclinazione delle nostre attitudini siano cattive! Dio sceglie i suoi servitori e li qualifica per il suo servizio, ma bisogna che tutto ciò sparisca in una alchimìa misteriosa fino ad avere come unico movente di azione la chiamata di Dio, che invia il suo testimone.
* Comme s’il voyait l’invisible, Le Cerf, Parigi 1954, pp. 29-32.
Letture facoltative
L’ATTIVITÀ MISSIONARIA ATTUA UN CIRCUITO DI GRAZIA
Yves De Montcheuil *
Professore all’Istituto Cattolico di Parigi, il Padre Yves de Montcheuil fu fucilato dalle truppe di occupazione a 45 anni, il 10 agosto 1944, mentre era cappellano dei partigiani di Vercors. Il suo pensiero ha lasciato una viva impronta nella teologia di quel periodo. Egli è nel numero di quelli che hanno ispirato il Concilio Vaticano Il con la loro presenza invisibile, come Newman e Teilhard de Chardin. Dopo Johann Adam Moehler, egli è forse colui che ha maggiormente orientato gli spiriti verso una presa di coscienza della Chiesa come mistero, come sacramento del Cristo (Lumen Gentium). Si vedrà facilmente come la pagina che segue, tratta dalla raccolta «Aspetti della Chiesa», preluda alle grandi speranze dei documenti conciliari sull’attività missionaria della Chiesa.
Quando la Chiesa va verso un popolo che non ha ancora ricevuto la fede, va incontro ad una grazia di Dio. La grazia infatti lavora in ogni gruppo umano e, all’interno del gruppo, in ogni uomo. Essa opera a volte in vista di un effetto originale, che è portato a termine solo dalla Chiesa e in essa. La Chiesa dunque non si dirige verso un semplice vuoto per colmarlo, ma è attirata da una chiamata di Dio. Quelli verso i quali va, non hanno coscienza di questo appello, mentre essa lo sente, perché vede più chiaro nell’uomo di quanto l’uomo non veda in se stesso; lo conosce più intimamente di quanto egli possa conoscersi e lo vede nella sua condizione davanti a Dio e ne,I piano che Dio ha su di lui. Ora, in ogni popolo, malgrado innumerevoli deficienze e innumerevoli rifiuti, malgrado tutte quelle opacità che gli individui non possono eliminare subito, la grazia di Dio persegue questa preparazione provvidenziale, il cui compito sarà l’adesione di quel popolo al,la Chiesa, con l’apporto dei suoi ,caratteri originali e delle sue particolari ricchezze. Questa preparazione conferisce all’attività missionaria il suo carattere di sacralità e di forza a cui non si può resistere (sebbene si tratti di un’attività da esercitarsi nella pazienza): si deve far venire alla luce e far sviluppare pienamente una grazia divina.
Nell’Epistola ai Romani, S. Paolo parla di tutta la creazione che geme nell’attesa della piena redenzione dei figli di Dio: ce la mostra bramosa di essere liberata dalla schiavitù alla quale è stata sottoposta dal peccato dell’uomo. Mi sembra che non sia temerario applicare l’immagine ai popoli che attendono la fede. In virtù della grazia, che già li lavora nell’intimo, essi gemono, non per disperazione, ma nell’attesa della libertà che la Chiesa porterà loro: liberazione da tutte le catene, da tutte le deformazioni interiori prodotte dal peccato, perché il loro essere spirituale possa finalmente fiorire nella luce del Cristo. Allora il beneficio di questa liberazione non sarà goduto solo da questi popoli, ma da tutto il corpo della Chiesa di cui saranno entrati a far parte; essi infatti lo aiuteranno a sfruttare in modo nuovo il tesoro ricevuto da Dio, la cui fecondità non ha limiti. Ecco perché le missioni ancor oggi attuano in pieno la cattolicità della Chiesa: non solo dandole membri più numerosi o anche ricohi di caratteristiche diverse, ma facendo rifulgere in piena luce tutta la varietà del Dono divino…
Non dobbiamo considerarci come gente che possiede e che in seguito darà: noi possediamo solo se vogliamo comunicare ciò che riceviamo per grazia… Dobbiamo convincerei che noi non diamo a gente che riceve soltanto, ma a gente da cui riceveremo forse più di quanto avremo dato. L’amore fra noi non sarà autentico, se non desideriamo ricevere a nostra volta – per l’edificazione della Chiesa – da parte di quelli a cui noi diamo oggi. I cristiani che portano la fede a coloro che ancora non l’hanno, si preparano a divenire un giorno i loro debitori. E’ uno scambio che si stabilisce, perché l’attività missionaria attua un circuito di grazia.
* Aspects de l’Église, «Livre de vie» 23 – Ediz. du Cerf, Parigi 1948 – pp. 176-178.
«RECIPROCITÀ DELL’AMORE IN UNO SPIRITO DI ACCOGLIENZA»
Cardinale Daniélou *
Il Padre Jean Daniélou, nato nel 1905, conduce una brillante carriera scientifica nel campo degli studi patristici e insieme una vita apostolica molto aperta alle attese dell’uomo moderno. Professore all’Istituto Cattolico di Parigi, condirettore – con il Padre de Lubac – della collezione “Sources Chrétiennes», esperto al Concilio Vaticano Il, si dedica a trarre dai documenti trasmessi dalla tradizione, gli elementi comuni di fede del Popolo di Dio, mettendoli in relazione con le inquietudini e le speranze del nostro tempo. Uno dei temi preferiti dalla sua riflessione è quello della storia della salvezza, annunciata e prefigurata nell’Antico Testamento, realizzata nel Nuovo, sempre in atto nella Chiesa.
L’amore non può essere unilaterale, ma deve portare con sé una vera reciprocità. L’amore consiste tanto nel ricevere quanto nel donare. Noi non potremo aprire un dialogo con i nostri fratelli non appartenenti al mondo occidentale, fin tanto che non avremo abbandonato il nostro atteggiamento di superiorità. Commettiamo l’errore di chi, dopo aver donato molto, si lamenta di non essere a sua volta riamato. Una delle più grandi gioie che possiate dare ad un uomo è di fargli sentire che attendete qualcosa da lui, che egli ha qualcosa da darvi, da insegnarvi, da rivelarvi. Sotto questo punto di vista, dobbiamo continuamente esaminare il nostro atteggiamento nei nostri ambienti di vita e di lavoro, per renderci conto se sappiamo creare questo clima di scambi reciproci attorno a noi.
Il cristianesimo non ha il monopolio dell’amore del prossimo. Esistono delle dedizioni altrettanto autentiche e ammirevoli presso non-cristiani e presso comunisti. Ma la carità cristiana ha una dimensione specifica, che consiste nell’amare negli altri ciò che Cristo cerca di compiere in essi. Un non… cristiano, senza cogliere la persona dell’altro nella sua dimensione più profonda, si fermerà ad una certa dedizione umana e, per esempio, incontrerà dei limiti di fronte alla sofferenza fisica. C’è un momento in cui noi non possiamo trionfare sulla sofferenza, ma ci resta da infondere, allora, la speranza che può trasfigurarla: rivelare a qualcuno che soffre che la sua sofferenza è una maniera di amare e di essere utile, può trasformare la sua esistenza. L’amore cristiano, capace di donare il Cristo a coloro che non lo conoscono, infrange i limiti umani e carnali.
La forma tipica della carità cristiana è la carità missionaria, cioè lo spirito apostolico. Poiché noi amiamo Gesù, dobbiamo sentir urgere il bisogno di farlo conoscere agli altri. Non si tratta di imporre la nostra fede con la forza, ma di suscitare il desiderio e l’amore della vita soprannaturale che è in noi. Occorre che ci sia nei cristiani qualcosa che attiri le anime, una gioia, una libertà, un’interiorità tali da stimolare il desiderio di conoscerne la sorgente. Non sono qualità che possano essere simulate: devono irradiarsi da noi con la massima naturalezza. Dobbiamo badar bene di non vivere in piccoli ambienti molto chiusi; nella carità vissuta ci deve essere una libertà di apertura, una comunicatività, uno spirito di accoglienza che facciano presa sul mondo.
In questo noi giungiamo alle radici della nostra fede, la quale dice che Dio è Amore, che in Dio c’è eternamente il dono d’amore che le tre Persone reciprocamente si fanno. Così l’Assoluto è Amore, la vita stessa dell’Essere è Amore. Se il fondamento di tutto è questa comunione tra le Persone divine, è normale che realizzare la creazione equivalga a realizzare una comunione tra le persone umane. Questo deve trasformare la nostra vita; c’è una novità sconvolgente in questo messaggio d’amore che nessuna filosofia ha mai lasciato prevedere. L’amore deve allora diventare la legge della nostra vita. E vivere, donando il nostro amore agli altri, significa collocarci nel senso vero dell’esistenza.
* Éléments de spiritualité pour le laïc d’aujourd’hui, opuscolo del «Circolo S. Giovanni Battista» – pp. 48-49.
L’EDUCAZIONE CRISTIANA Concilio Vaticano II – Gravissimum Educationis Momentum *
Per compiere la missione affidatale dal suo divino fondatore, cioè per annunciare a tutti gli uomini il mistero della salvezza e ricapitolare tutto in Cristo, la santa Chiesa, nostra madre, deve occuparsi della vita dell’uomo nella sua totalità, e quindi anche della vita terrena in quanto connessa con la vocazione soprannaturale; perciò ha un suo campita specifico riguardo al progresso e allo sviluppo dell’educazione. Per questa il Concilio enuncia alcuni principi fondamentali per una educazione cristiana, soprattutto riguardo alla scuola…
La vera educazione ha lo scopo di formare la persona umana in ordine al suo fine ultima e al bene dei vari gruppi di cui l’uomo è membro e al servizio dei quali si eserciterà la sua attività di adulto. Bisogna dunque, tenendo conto del progresso delle scienze psicologiche, pedagogiche e didattiche, che i bambini e i giovani siano aiutati a sviluppare armoniosamente le loro attitudini fisiche, morali e intellettuali, ad acquistare gradualmente un senso più profonda della loro responsabilità nell’orientare rettamente la propria vita mediante una tensione continua e nel conquistare la vera libertà, superando gli ostacoli con coraggio e generosità. Occorre che ricevano, in modo adeguata alla loro età, un’educazione sessuale positiva e prudente. Devono essere poi avviati alla vita sociale: convenientemente preparati per mezzo della necessaria formazione, potranno allora inserirsi attivamente nei vari gruppi della comunità umana, aprirsi al dialogo con gli altri e portare spontaneamente il loro contributo alla realizzazione del bene comune…
Fra tutti i mezzi di educazione, la scuola riveste un’importanza particolare… E’ proprio della scuola cattolica creare un ambiente comunitario scolastico che sia animata dalla spirito evangelico di libertà e carità, aiutare gli adolescenti a sviluppare la propria personalità, facendoli crescere contemporaneamente secondo la nuova creatura che in essi ha realizzata il battesimo. Le è proprio, infine, ordinare tutta la cultura umana al messaggio della salvezza, così che la conoscenza graduale che gli alunni acquistano del mondo, della vita e dell’uomo, sia illuminata dalla fede. In questo modo la scuola cattolica, aprendosi – come è suo dovere al progresso del mondo moderno, ‘educa i suoi alunni a lavorare efficacemente al bene della città terrena, e insieme li prepara al servizio per l’estensione del regno di Dio, così che, esercitandosi a una vita esemplare e apostolica, essi diventino per l’umanità come un fermento di salvezza…
E i maestri ricordino che dipende soprattutto da loro che la scuola cattolica sia in grado di realizzare i suoi fini e le sue iniziative. Devono quindi essere preparati, con una sollecitudine tutta particolare, in modo da acquistare una scienza, profana o religiosa, che sia atte stata dai relativi titoli di studio,e in modo da diventare esperti nell’arte pedagogica, aggiornata secondo le scoperte del progresso contemporaneo. Stretti tra loro e con gli alunni dal vincolo della carità e penetrati di spirito apostolico, essi devono dare testimonianza, sia con la vita che con l’insegnamento, all’unico maestro che è Cristo.
* N. 1-5-8 – Enchiridion Vaticanum – Ed. Dehoniane, Bologna 1967, pp. 456-470.
SENSO E PORTATA DELL’ATTIVITÀ MISSIONARIA
Yves De Montcheuil *
Professore all’Istituto Cattolico di Parigi, Padre Yves de Montcheuil fu fucilato dalle truppe di occupazione all’età di 45 anni, il 10 agosto 1944, come cappellano dei partigiani del Vercors. Il suo pensiero ha lasciato una traccia profonda nella teologia del suo tempo. Fra coloro la cui presenza invisibile ispirò il Concilio Vaticano II – quali un Newman, un Teilhard de Chardin – è forse colui che, dopo Karl Adam, Moelher, ha maggiormente orientato la presa di coscienza della Chiesa come mistero, come sacramento del Cristo (Lumen Gentium).
V’è nella Chiesa una legge di crescita. Legge, non semplicemente nel senso di un comando esterno da lei ricevuto, quanto nel senso di un principio interno, di uno sforzo organico. La Chiesa ha in sé la forza di assimilare e di trasformare l’intera umanità, fin nelle estreme profondità delle sue fibre, e deve e vuole manifestare tale forza nella sua totalità. Non è detto che una simile crescita debba essere continua, come quella del corpo umano che si sviluppa fino al punto in cui raggiunge il massimo della statura. I cristiani non sanno a priori quali saranno i successi dei loro sforzi, sia in estensione che in profondità. E’ possibile che la Chiesa conosca dei periodi di stasi, o perfino di regresso, sia per quanto riguarda il numero dei fedeli, sia per quanto riguarda il fervore della parte migliore dei cristiani: ha già conosciuto momenti del genere. In compenso, essa non conoscerà alcun periodo di senilità, quando cioè le forze fatalmente declinano e l’organismo si avvia irrimediabilmente verso la morte. La vita che anima la Chiesa, la rende sempre capace di nuove espansioni all’esterno e di un incessante rinnovamento all’interno. In questo senso, la Chiesa è sempre giovane, sempre capace di crescita. Non viene mai per lei il momento fatale in cui non potrebbe far altro che mantenere le posizioni raggiunte, in attesa del declino. E’ insita in lei la volontà di allargarsi in continuazione sino ai confini dell’umanità, qualsiasi possano essere le vicissitudini attraverso cui essa deve passare.
Questo desiderio di crescita non va però concepito come una volontà di vivere che si trasforma facilmente in una volontà di imporsi, non lo si deve confondere con lo imperialismo. Il suo è invece desiderio di comunicare la ricchezza che possiede. Per la Chiesa, infatti, espandersi non significa dominare di più, non significa occupare un posto più grande fra le istituzioni che hanno importanza: significa invece arricchire più esseri, ed arricchirli più profondamente. Non può che essere così, in quanto ciò che la Chiesa possiede, in definitiva, è la carità, è la partecipazione alla vita trinitaria. Ora, non si può possedere la carità senza volerla comunicare universalmente. Questa è la ragione per cui la Chiesa cerca sempre di raggiungere, per così dire, spontaneamente ogni gruppo umano specifico, differenziato sia per la sua situazione nel mondo, sia per la sua configurazione etnica, che per la sua civiltà. Per fare ciò, essa non attende di aver portato a termine il suo compito in un altro luogo… La Chiesa non comincia a realizzarsi, e insediarsi in un punto del globo per rinunciare a espandersi poi altrove: fin dal primo istante, la sua esistenza implica la volontà di espandersi ovunque, fino all’estremità della terra (At. 1, 8). Se non avesse voluto essere dappertutto, e per questo non avesse profuso ogni suo sforzo, ora non sarebbe da nessuna parte.
* Aspects de l’Eglise, Unam Sanctam. 18, Le Cerf, Parigi 1949 – pp. 157-158.
IL TEMPO DELLA CHIESA
Henri-Irénée Marrou *
Storico francese, nato a Marsiglia nel 1904, Henri-Irénée Marrou insegna alla Sorbona dal 1945. Le sue opere principali hanno attinto alla storia della Chiesa, e più particolarmente a Sant’Agostino. Ha collaborato a parecchi volumi di “Sources Chrétiennes». Interessato all’evoluzione della pedagogia ed alla storia della canzone popolare, tiene la rubrica di critica musicale nella rivista «Esprit», sotto lo pseudonimo di Henri Davenson.
La prima osservazione da farsi sul tempo della Chiesa, è che esso é il tempo della missione. E’ il tempo della Nuova Alleanza, l’Anno di grazia del Signore annunciato dal profeta Isaia (61, 2). L’inizio di questo brano ha dettato una bella pagina a Sant’Ireneo: il tempo che trascorre tra le due Parusie, le due venute del Signore, è il tempo di cui Dio si serve per far maturare i frutti della storia, cioè i santi. E’ il tempo della pazienza di Dio (cf. 2 Pt. 3, 9). della misericordia di Dio, il termine accordato agli uomini affinché possano approfittare della salvezza loro offerta, salvezza di cui Dio si è fatto garante, ma che gli uomini devono fare propria. E’ il tempo in cui Dio attira a sé un popolo da lui scelto, è il tempo della «convocazione»… il tempo della chiamata…
Sì, il tempo della Chiesa è il tempo necessario a tutti i figli di Dio per riunirsi insieme, o, per riprendere l’immagine che ha così bene sviluppata San Giovanni Crisostomo in uno dei suoi sermoni, il tempo necessario perché la famiglia dei figli di Dio venga a sedersi al completo alla tavola splendida e sontuosa del Padre. Facile è rendersi conto quale ne sia il risultato pratico per noi. In definitiva, Dio, che può tutto e non ha bisogno di nessuno, ci chiede tuttavia di essere suoi cooperatori (1 Tess. 3, 2), di operare con lui e per lui. Il tempo della Chiesa appare dunque per noi in prima istanza come il tempo del «kerigma», della proclamazione della Buona Novella. Chi può quindi, avendo ricevuta questa Buona Novella, restare fermo, senza sentire il bisogno di urlarla ai quattro venti subito, di proclamarla in faccia agli uomini affinché questo bene diventi pure il bene dei nostri fratelli?
E’ dunque il tempo dell’evangelizzazione, della missione nel senso più immediato del termine; non è forse con questo comando solenne che il Signore ci lascia, negli ultimi versetti del Vangelo di Matteo: Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli (28, 19)? Ci sarebbe molto da dire sulla buona coscienza del cristiano medio che, per mettere in pratica questo precetto, fa affidamento esclusivamente sugli organismi specializzati e sui tecnici professionisti della «missione», come se <da propagazione della fede» non fosse per ciascuno di noi un dovere immediato, quotidiano, universale, la cui responsabilità, perciò, non può essere trasferita ad altri (ciò, ben inteso, senza aver la pretesa di contestare il carattere evidentemente indispensabile dei «missionari» nel senso tradizionale della parola).
Non è proprio così che i nostri padri nella fede intendevano la Chiesa come essenzialmente missionaria. Se vogliamo una testimonianza, citerò quella di Eusebio di Cesarea che nella sua Storia Ecclesiastica scrive, a proposito dell’inizio del 2° secolo: «In quel tempo molti cristiani sentivano che la loro anima era sospinta dal Verbo divino verso un intensissimo amore per la perfezione. Cominciarono col mettere in pratica il consiglio del Salvatore, distribuendo i loro beni ai poveri; poi, abbandonata la patria, andarono ad assolvere alla loro missione di evangelizzatori, con l’ambizione di predicare la parola della fede a coloro che non l’avevano ancora ascoltata, e di trasmettere loro i libri dei divini Vangeli. Si limitavano a porre le fondamenta della fede presso i popoli stranieri che visitavano; dopo di che si facevano sostituire da altri pastori cui affidavano il compito di coltivare coloro che avevano appena avviato alla fede. Indi si incamminavano per nuove direzioni, verso altri paesi ed altri popoli, sostenuti dalla grazia e dall’aiuto di Dio».
* Théologie de l’histoire, Editions du Seuil, Parigi 1968 – pp. 95-97.
L’APOSTOLATO, IRRADIAMENTO DELLA SANTITÀ
Lucien Cerfaux *
Durante tutta la sua carriera di professore di Sacra Scrittura, Lucien Cerfaux, nato nell’Hainaut in Belgio nel 1883, non ebbe altra ambizione che quella di porre la sua vita al servizio della Parola di Dio. La sua ricerca esegetica fondata su una fede indefettibile, è sostenuta dall’ansia di ritrovare il significato originario dei testi, specie del Nuovo Testamento, sino a giungere a una specie di connaturalità con gli autori sacri. Egli ha trasmesso le sue conquiste scientifiche mediante numerosi articoli seriamente elaborati, ma soltanto all’età di 60 anni ha pubblicato la sua prima grande opera su San Paolo. Morì a 85 anni lasciando una edificante testimonianza di vita sacerdotale e apostolica.
Per i suoi missionari presenti e futuri Gesù compose un codice della strada. Sono consigli per una modesta missione in Galilea, un giro di alcune settimane, nei villaggi di una piccolissima provincia.
Non andate fra i Gentili, non entrate nelle città dei Samaritani; ma andate piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. E durante il viaggio predicate, dicendo: Il Regno dei cieli è vicino (Mt. 10, 5-7).
Potrà mai avere un riflesso nella storia del mondo, ciò che alcuni popolani, in un paese sperduto, diranno ad altri popolani?
Quella era la fondazione della Chiesa, il modello di tutte le missioni; il punto di avvio, il perno, la semente di tutto ciò che si sarebbe sviluppato in seguito.
E’ abitudine divina di trarre le cose grandi dal nulla. Egli vuole creare.
L’hanno ben compreso i santi, che fecero opere grandiose pur senza mezzi, come Dio, perché operavano adottando i suoi metodi. Gli anacoreti del deserto hanno logorato la loro vita lottando contro i demoni. San Benedetto, espulso da Subiaco, si limitò a fondare il monastero di Montecassino. San Francesco d’Assisi ha formato due dozzine di discepoli, depositari del suo spirito. Il curato d’Ars ascoltava le confessioni in una chiesa di campagna. Ma san proprio queste umili opere quelle che risplendono; è l’apostolato così inteso che pesa sulla bilancia divina e sui destini spirituali dell’umanità.
Conteranno molto, nella storia della Chiesa, le forme vistose di apostolato? Nessun apostolato, nessuna opera avrà mai più la risonanza dell’oscura missione di Galilea. E tuttavia, a che si riduceva in chilometri quadrati? La Galilea è più piccola di un dipartimento francese.
Non hanno importanza né la superficie, né la lunghezza, né la larghezza ma la profondità. L’apostolato si valuta con lo scandaglio, non a metraggio.
Ricordiamoci la definizione dell’Apostolo nel Vangelo di San Marco: Egli ne stabilì dodici che stessero con lui, per mandarli a predicare (3, 14).
L’apostolo è veramente tale allorché resta unito a Nostro Signore. Contemplazione e azione non debbono venir separate. Sono sorelle, Maria e Marta; le due sorelle si completano e formano una unità. Così hanno intuito i santi.
Per i santi, apostolato e vita interiore sono la stessa cosa. Il santo curato d’Ars solo con difficoltà trovava il tempo di pregare; ma quale preghiera era la sua vita! San Francesco per tutta la vita esitò tra la solitudine degli eremi e la predicazione. San Benedetto Labre fu apostolo con l’inesauribile preghiera.
L’apostolato non è che l’irradiamento della santità. Un apostolo deve essere santo due volte: una per sè e una per g I i altri.
* Discours de Mission, Desclée, pp. 5-7.
17 Maggio 2015